Rivive a San Secondo l’antica arte olearia nel Museo Agorà Orsi Coppini
In una zona da sempre vocata all’agroalimentare, il Podere Fieniletto e un casello ottocentesco per la produzione del Parmigiano Reggiano sono stati trasformati per accogliere un percorso dedicato all’olivo, albero sacro in tutte le civiltà, simbolo di pace e dialogo, fonte di sostentamento, sapore, cura del corpo e dello spirito, luce.
Antichi documenti d’archivio testimoniano che l’olivo era coltivato nel Parmense – dove ancor oggi permangono alcune piante superstiti – fin dal XII secolo. La famiglia Orsi Coppini, che porta nel cuore la passione per l’olio d’oliva, ha voluto dedicare a questo straordinario alimento un luogo specifico per poterlo meglio conoscere e apprezzare.
All’interno del Museo si articolano tre spazi:
- Spazio Anita: dedicato alla storia dell’olio e ai sistemi di produzione più antichi di tipo meccanico. Al suo interno è possibile ammirare un torchio o “strettojo” a una vite del tipo “alla genovese” e una pressa a leva e a vite in legno.
- Spazio Americo: dedicato agli strumenti di produzione idraulici. Quest’ala del Museo ospita un Frantoio a due macelli (pietre molari) con gramola-dosatore risalente agli anni ’50, un torchio o pressa idraulica, un torchio in ferro, un torchio o pressa idraulica a quattro colonne, una pompa idraulica e due separatori meccanici.
- Angolo di lettura: uno spazio nel verde nel quale è possibile soffermarsi ad ammirare un Frantoio in pietra a due macelli (pietre molari).
Sala convegni
Inoltre all’interno della struttura una sala convegni con circa 100 posti a sedere, dotata delle migliori tecnologie audio-video e di ogni possibilità di registrazione, trasmissione, interattività online e videoconferenze, offre un servizio d’eccellenza e d’avanguardia per convegni, seminari, conferenze, corsi di cucina in un ambiente particolare di straordinaria bellezza, naturale ma allo stesso tempo dotato di ogni comfort, servizi e tecnologia.
L’Agorà tra gli ulivi
L’Agorà è un teatro all’aperto in un parco naturale costellato di ulivi secolari, unico nel suo genere, in un comprensorio davvero vasto, attrezzato con le più moderne tecnologie e servizi, per concerti, spettacoli ed eventi anche di altissimo livello. Può ospitare fino a 500 persone a sedere su tre livelli di gradoni.
Storia
Il museo Agorà Orsi Coppini nasce grazie alla passione per l’olivo di Anita e Americo Coppini, oliandoli fondatori dal 1946, che continua a vivere oggi, dopo tre generazioni, nel cuore della famiglia Coppini.
Americo con la moglie Anita, figli della Food Valley e formati con la creatività e l’intraprendenza di chi deve inventarsi come guadagnare il pane con la terra e il lavoro delle proprie mani, da mastro casaro si misura con una nuova sfida: riportare l’extravergine nella provincia di Parma. Quella dell’oliandolo è stata per Americo una vocazione. Lo chiamavano “il missionario dell’olio” quando viaggiava con la sua bicicletta e degli assaggi di olio per fare conoscere il vero extravergine, insegnando la degustazione.
Americo e Anita avevano già capito, in netto anticipo sui tempi, l’importanza della cultura nell’enogastronomia; “la conoscenza prima di tutto” per poter apprezzare le caratteristiche di un prodotto. Da questo amore e da questi insegnamenti la famiglia Coppini ha deciso di creare il museo Agorà dedicandolo proprio ad Americo e Anita, oliandoli fondatori.
Intorno all’olivo
“Conoscere per amare”, così nasce l’idea della famiglia Coppini, le cui radici sono profondamente ramificate nel terreno della Food Valley. Ecco perché è nato qui il Centro culturale dell’olio e dell’olivo, per diffondere la conoscenza di un prodotto e di un mondo che è arte, Arte Olearia appunto, la cui aura illumina la storia, dalla mitologia più antica fino ai nostri giorni.
Il museo Agorà Orsi Coppini, Arca della Cultura, che comprende il Museo dell’Arte Olearia e l’Agorà tra gli ulivi, è stato voluto e creato dalla famiglia Coppini al fine di:
- veicolare la cultura dell’olivo: i popoli del Mediterraneo hanno acquisito la civiltà anche grazie all’olio; l’Italia è un Paese fondato sull’olio: il simbolo stesso della Repubblica Italiana è un ramo d’ulivo e diverse religioni hanno basato sull’olivo e sull’olio la loro forza espressiva;
- rappresentare un percorso emozionale in cui l’extravergine diventa logos, immagine, artigianato, cultura che si può assaporare, che traduce in esperienza diretta un sapere di generazioni, un laboratorio di incontri intriso di natura e di vita;
- riportare la cultura dell’olivo nel Parmense;
- condividere con i visitatori del Museo l’arte di estrarre l’olio d’oliva, oggi riscoperto, extravergine e certificato, non solo per arricchire le sfumature del gusto, ma anche come pilastro della dieta mediterranea;
- accorciare la distanza tra produttore e consumatore, tra il frantoio e la nostra tavola accompagnando i visitatori del Museo in quel percorso magico che permette di imprigionare in una bottiglia l’essenza, estratta rigorosamente a freddo, dell’olivo;
- essere un luogo in cui condividere con gli estimatori dell’extravergine l’amore per la bellezza, l’arte e la cultura; un laboratorio di incontri, per conoscere sempre più e sempre meglio gli estimatori dell’extravergine al t.o.p. (tracciabilità origine prodotto). Un luogo di condivisione, quindi, ma anche una fucina di idee per la lotta alla mediocrità e sofisticazione alimentare, un palcoscenico da cui lanciare proposte nuove o nuovi eventi che possano nutrire la mente e lo spirito.
Ecco ciò che si può trovare in questo spazio privilegiato e davvero unico!
Podere Fieniletto, Via Bruno Ferrari, 3 – 43017 San Secondo Parmense (PR)
www.museorsicoppini.it
È possibile visitare il museo solo su prenotazione, telefonando dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 17,00 al numero 0521/877617 o scrivendo una e-mail all’indirizzo laura.lofino@coppini.it
Per le scuole il museo organizza degustazioni, percorsi tematici e di educazione alimentare da concordare con gli insegnanti, in continuità con il piano didattico nel corso dell’anno.
Per informazioni inviare una e-mail all’indirizzo laura.lofino@coppini.it
PER SAPERNE DI PIÙ

La locandina di El Olivo (2016). L’attrice protagonista, Anna Castillo, è stata insignita del Premio Goya 2017 come miglior attrice rivelazione
In questa pellicola del 2016 la regista Icíar Bollaín non si allontana di molto dalla sua terra natìa (Madrid), né dal suo stile icastico e impregnato di critica sociale, ambientando una storia umile e famigliare nella brulla provincia valenciana. Il progetto, girato tra il maggio e il giugno del 2015, è stato insignito del Premio Goya per la miglior attrice emergente (Anna Castillo), con sceneggiatura realizzata dalla straordinaria ed eclettica penna di Paul Laverty.
La trama
In questo progetto ricorrono senz’altro i temi tipici del Cinema in stile Bollaín, che spesso tende a trattare questioni delicate come la violenza di genere e lo sfruttamento ambientale. Questo secondo aspetto è centrale nello sviluppo della storia, nella quale la critica all’atteggiamento scriteriato dell’uomo nei confronti della natura è tutt’altro che celata. Tuttavia i toni, meno aspri e idealisti rispetto ad altre opere della regista, sono delicati e a tratti commoventi. Alma, interpretata appunto da Anna Castillo, è una protagonista giovane e intraprendente, inscindibilmente legata alla figura di suo nonno, uomo burbero e solitario, il più classico degli uomini di campagna. I figli di nonno Ramón (Manuel Cucala) hanno deciso di vendere un olivo millenario, appartenente da generazioni alla famiglia, provocando una ferita irreparabile nell’animo dell’anziano coltivatore. Quando l’uomo smette addirittura di parlare, affranto dalla perdita dell’albero tanto adorato in gioventù, la nipote decide di adoperarsi per recuperare la pianta e regalare un’ultima gioia a quello che, a tutti gli effetti, è il suo modello di riferimento. Ne consegue un’avventura eccitante e spericolata, che porta Alma al di fuori dei confini nazionali, accompagnata da due amici e decisa a compiere la sua missione. L’immagine dell’olivo di famiglia, intrappolato nella hall di un freddo e asettico palazzo di vetro, riassume perfettamente il messaggio principale del film: la tendenza umana a “commercializzare” anche le opere più pure della terra, sradicando le tradizioni in nome del profitto e del possesso.
L’olivo
Nella pellicola la pianta d’olivo è la rappresentazione del vecchio Ramón, morente ed appassito, trapiantato in un mondo che ormai non gli appartiene più. Al tempo stesso la determinazione della giovane Alma porta con sé un barlume di speranza, dimostrando che esiste ancora, a discapito di tutto, la speranza di tenere in vita i tesori del passato. Questo spirito di lotta per tutelare la natura dall’irresponsabilità e dagli egoismi economici è quanto mai attuale e necessaria, anche se la regista riesce a raccontarla con humor e leggerezza, in un road-movie adatto a tutte le età. Emerge infine la descrizione di una Spagna che somiglia moltissimo a certe regioni italiane, legate più di altre al proprio patrimonio storico e naturalistico. Pensandoci bene, l’Emilia non è poi così diversa dalla comarca valenciana in cui è ambientata questa storia, almeno in termini di ricchezza storica e di amore per il territorio. Un film semplice ma profondo, adatto soprattutto a chi è innamorato della propria terra, qualunque essa sia.

Testa di contadina con cuffia bianca” di Vincent Van Gogh, olio su tela dipinto a Neunen nel 1884. I dettagli resi visibili dalla pittura ad olio, specie nelle pennellate abbondanti del pittore olandese, sono esteticamente inimitabili, impossibili da emulare servendosi di altre tecniche pittoriche
Chi di noi è estraneo al termine “olio su tela”? Probabilmente nessuno, anche solo per le reminiscenze dei propri studi d’arte alle scuole medie e superiori. La tecnica della pittura a olio, per quanto spesso sia menzionata, è in realtà ben più complessa e sfaccettata di quanto si pensi. L’impiego di oli siccativi, che appunto “seccano” se esposti all’aria, con dei pigmenti in polvere ha del tutto rivoluzionato il modo di dipingere di migliaia di artisti, influendo soprattutto sulla longevità delle opere. Gli oli utilizzati formano infatti, entrando in contatto con l’ossigeno, una pellicola detta “film” che è sostanzialmente insolubile. La viscosità dell’olio rende anche più vividi gli “sfumati”, permettendo agli artisti di giocare coi colori, servendosi di una gamma cromatica estremamente variegata e impossibile da emulare utilizzando, ad esempio, i colori a tempera.
Le origini
La tecnica pittorica a olio si sviluppa nelle Fiandre all’inizio del XV secolo, giungendo nelle principali città italiane, soprattutto a Roma, Firenze e Venezia attorno al 1470. Antonello da Messina (1430-1479), fu tra i primi a recepire l’innovazione fiamminga, intuendone le enormi potenzialità, sia in termini di creatività artistica, sia in merito alla conservazione delle opere nel tempo. Una volta sdoganata, la pittura a olio è diventata tanto popolare da essere la favorita di molti degli artisti più importanti del nostro Paese, tra i quali spiccano i nomi di Leonardo Da Vinci e di Tiziano, oltre che il marchio di fabbrica (non l’unico, ma tra i più importanti) di quello che è probabilmente il pittore più celebre di sempre: l’olandese Vincent Van Gogh.
Gli oli utilizzati
L’olio di lino è certamente tra i più adatti alla pratica pittorica, essendo il principe degli oli essiccanti. In questa categoria rientrano anche l’olio di papavero e quello di noce. Alcuni oli essenziali come l’essenza di trementina e quella di rosmarino sono, oltre che molto più costosi, meno soggetti all’ingiallimento e più fluidi e “leggeri”, adatti quindi a rendere la lucentezza dei dettagli dell’opera. Un limite della pittura ad olio è senz’altro determinato dalla lunghezza dei tempi di asciugatura, non certo adatti ad una produzione artistica “seriale”. Inoltre è possibile che, sul lungo periodo, perdano lucentezza e che i toni di colore diventino più scuri. In realtà questo difetto è riconducibile all’utilizzo di sostanze essiccanti, impiegate proprio per accelerare l’asciugatura delle tele.

Un set acetoliera in vetro. I recipienti da tavola sono stati oggetto delle rivisitazioni più disparate, diventando un soggetto molto amato dai moderni designer
L’olio, in particolare l’olio d’oliva, chiamato “oro liquido” fin dall’antichità, è ritenuto il cuore della cultura alimentare delle civiltà che si sono affacciate sul bacino del Mediterraneo. Inoltre, questo nobile prodotto ricopre anche un ruolo di rilievo sotto l’aspetto simbolico, rituale e culturale.
Storia e mitologia dell’olio
Nella mitologia greca si narra che l’olivo sia nato grazie alla dea Atena, in gara con Poseidone per vincere la sfida del dono più bello da fare all’uomo. Sull’Acropoli di Atene, percosse il terreno con una lancia e apparì il primo albero di olivo, che Zeus sancì vincitore sul vigoroso cavallo presentato da Poseidone. L’olivo è pianta sacra per tutti i popoli mediterranei: nella tradizione ebraica nasce tra le labbra di Adamo sepolto sul monte Tabor; nel libro della Genesi ad annunciare la fine del diluvio universale è una colomba con un rametto d’ulivo nel becco come segno della pace ristabilita tra Dio e l’umanità; nell’Islam è considerato l’Albero Benedetto e soprattutto la fonte della luce, tramite l’olio che fornisce. L’olio è stato ed è presente nella vita quotidiana dell’uomo: se ne spalmavano gli atleti dell’antichità prima di gareggiare; la sansa, parte di scarto della lavorazione delle olive, veniva usata come balsamo per i dolori muscolari. L’olio è inoltre impiegato come base di creme e unguenti per nutrire la pelle, così come per ricercati profumi. Infine è utile per alcune fasi della lavorazione della lana e viene adoperato in medicina, come ricordano diversi antichi autori.
L’oliera
L’oggetto destinato a contenere e a servire olio è – da sempre – l’oliera, non di rado abbinata a un contenitore “gemello” per l’aceto. Si tratta in genere di piccole ampolle a fondo piatto con un collo stretto. Le oliere hanno spesso un becco e un manico e possono presentare un tappo o una copertura realizzati con diversi materiali. Le oliere più antiche e rustiche furono di semplice terracotta smaltata, munite di un tappo di sughero. Nel corso del tempo, pur restando invariata la funzione, si ampliò la gamma dei materiali (ceramica, porcellana, vetro, acciaio) e parallelamente mutarono gli stili e i decori, variando dalle forme più classiche a quelle più moderne e attingendo ai motivi iconografici propri delle varie regioni e delle differenti tradizioni artistiche. Acetoliere d’argento di raffinata eleganza sono state realizzate nel XIX secolo a Parma, con decori in stile Neoclassico che privilegiavano le forme semplici e lineari. Nello stesso periodo furono popolari anche gli stilemi di ispirazione imperiale, che si rifacevano ai modelli francesi giunti in città al seguito della duchessa Maria Luigia d’Austria. Oggi le oliere sono dotate di un tappo dosatore per regolare il flusso dell’olio in fase di condimento ed evitare sgradevoli macchie di unto sulla tovaglia o sul piano d’appoggio. Inoltre, in età contemporanea, così come è accaduto per altri utensili, come lo scolapasta o la grattugia, l’oliera è divenuta oggetto d’interesse e di studio per vari designer, che l’hanno trasformata da semplice arnese da cucina in manufatto talora di grande fantasia e bellezza, da esibire anche come complemento d’arredo.
Curiosità
Inutile cercare le vecchie oliere “vintage” sul tavolo di ristoranti e pizzerie. Le panciute fiaschette che per anni ci hanno fatto compagnia non ci sono più, se non sugli scaffali dei musei o in ambito domestico.
Dal 2013 la legge europea 2013 bis prescrive che i contenitori di olio extra vergine d’oliva utilizzati negli esercizi siano dotati di tappo anti-rabbocco. Lo scopo della norma è soprattutto impedire che le oliere siano riempite di prodotti diversi da quelli indicati dall’etichetta. Inoltre, l’articolo 18 della Legge comunitaria impone anche l’indicazione del termine “miscela” per gli oli originari di più di uno stato membro dell’Unione Europee e ciò per evitare l’uso dell’indicazione “Made in Italy” per oli non interamente prodotti in Italia.

Busto commemorativo di Frédéric Mistral (1830-1914) a Vaucluse (Francia). L’autore fu tra i fondatori del Felibrismo, movimento letterario nato proprio a Vaucluse e finalizzato, sull’onda lunga del romanticismo, alla valorizzazione dell’identità nazionale e locale, ponendo l’accento sulla difesa della lingua occitana e della cultura provenzale
I suoi rami sono simbolo di pace e prosperità e i suoi frutti una squisitezza amata in tutto il mondo, simbolo della cultura mediterranea. Ma nelle radici dell’olivo e tra le crepe coriacee del suo tronco rivivono le parole di centinaia di poeti e scrittori, che in qualche modo lo hanno menzionato nelle proprie opere.
Montale, Ungaretti, D’Annunzio, passando per Pascoli e Ungaretti: tutti i grandi della letteratura italiana contemporanea hanno reso un loro personale omaggio alla pianta di Atena, che si pensa sia originaria dell’Asia Minore, dove è sempre cresciuta spontaneamente.
Tuttavia esiste un tributo letterario all’olivo che è forse meno conosciuto di altri, almeno nel nostro Paese. Ciò non toglie che il suo valore artistico sia smisurato. Stiamo parlando di una raccolta di poesie di Frédéric Mistral (1830-1914), autore originario della Francia meridionale, precursore assoluto in ambito poetico e deciso difensore della lingua occitana, “letteraria” nelle sue stesse sonorità e nella sua “ritmica”, che mescola più influenze storiche e culturali. I suoi scritti sono quasi sempre espressione del suo territorio. Il suo paese di nascita, lo stesso in cui Mistral morì, è Maillane (Maiano), piccolo villaggio nei pressi di Arles (la stessa “Arli” citata da Dante nel canto IX dell’Inferno). Nella sua raccolta di poesie intitolata “Lis Olivado” Mistral lascia un’ultima esaltazione della Provenza e delle sue straordinarie bellezze. Tra queste, viste le caratteristiche climatiche della zona, non possono mancare i sacri olivi. Quest’opera dell’autore provenzale sarà l’ultima a venire pubblicata prima della sua morte. La sua penna elegante, portavoce di un attaccamento fraterno alla sua terra natìa, gli valse il Premio Nobel per la Letteratura (1904):
“Il tempo che si rinfresca ed il mare che si increspa,
Tutto mi dice che l’inverno è arrivato per me
E che bisogna, senza indugio, raccogliere le mie olive,
E offrirne l’olio vergine all’altare del buon Dio”.
Dopo la sua morte, il poeta è divenuto un simbolo per l’intera regione che gli ha dato i natali. Ad oggi le sue opere sono documenti che consentono di conservare la lingua occitana, spazzata via da quella francese già ai tempi in cui lo stesso Mistral era in vita.

L’Agorà del Museo d’Arte Olearia, dotata di tutti i supporti tecnologici atti ad ospitare spettacoli ed eventi di vario genere
Allestito in un ex caseificio dell’Ottocento, il Museo d’Arte Olearia di San Secondo Parmense è una vera e propria “Arca della cultura”, la cui finalità è quella di preservare la memoria del territorio, consegnando i miti, le storie e le tecniche produttive dell’olio alla contemporaneità. Nato nel 2009 su iniziativa della famiglia Coppini, il grande centro culturale si sviluppa attorno all’antico podere, estendendo i suoi confini nel verdeggiante parco che lo circonda.
Gli esterni
L’Agorà, un teatro all’aperto che può ospitare fino a 500 persone, è incorniciata da una serie olivi secolari. In questo spazio vasto e luminoso si tengono spesso spettacoli e manifestazioni a sfondo culturale, sempre legate all’olio e alle innumerevoli conoscenze e leggende legate alla sua storia. La realtà museale offre inoltre diverse attività laboratoriali adatte a tutte le età, alla scoperta di un prodotto che tutti, bene o male, consumiamo quotidianamente. L’olio è un manifesto della cultura Mediterranea, uno dei simboli della Repubblica italiana e un perfetto esempio di fusione tra tecniche tradizionali e innovazione sostenibile. Il vasto parco naturale di disegno contemporaneo, a pochi passi dalla Rocca dei Rossi di San Secondo, è costellato di antichissimi ulivi diventati astratte ed evocative sculture, di macchinari storici ed elementi architettonici di grande pregio.
Gli spazi interni
Dedicate ad Americo e Anita Coppini, le sale interne del Museo sono destinate all’esposizione di attrezzi legati alla produzione olearia, tra i quali un torchio tradizionale “a strettojo”, una pressa a leva e diversi torchi idraulici, frutto dell’evoluzione tecnologica, oltre che diversi separatori anch’essi meccanici. Sono presenti anche una sala di lettura e una dedicata a convegni e riunioni.
L’olio e l’olivo: tutela e sostenibilità
Con ben 583 “cultivar” (varietà agrarie di una specie botanica) l’Italia è il paese con la più fiorente e multiforme biodiversità olivicola al mondo. I nostri olivi sono tuttavia in crisi a causa delle condizioni climatiche sempre più imprevedibili, con estati torride e inverni gelati, uniti ad una diminuzione costante delle precipitazioni in uno scenario che vede il “mercato dell’olio” come un vastissimo ecosistema di realtà medio-piccole, con una componente di artigianalità che è ancora assai significativa. La crisi pandemica ha rallentato le importazioni e le esportazioni, dando un duro colpo al mondo dell’olio e, in generale, a quello agroalimentare. La speranza in un futuro promettente sta nel rinnovamento degli impianti di estrazione e in una coltivazione di olivi più intensa e stratificata, volta a favorire l’imprenditorialità, rimanendo però nel pieno rispetto delle risorse idriche e del terreno. L’olio è uno dei prodotti che più celebra la nostra cultura nel mondo. Proprio per questo le attività proposte dal Museo Agorà Coppini sono di fondamentale importanza. Ancora una volta Parma e provincia sono in prima linea per difendere il primato enogastronomico italiano.

Si stima che in Italia ci siano ben 150 milioni di olivi. L’olivo è una pianta che, con le dovute cure, prospera velocemente e che può arrivare a vivere per millenni
Dal ramo dell’olivo fino alle oliere che abitano le nostre tavole, il ciclo di “vita” delle olive è frutto di una tradizione millenaria. Le tecniche classiche sono oggi affiancate da supporti meccanici che ne facilitano la raccolta e favoriscono il mantenimento delle loro caratteristiche naturali. I vari passaggi di lavorazione variano da regione a regione, ma si può generalmente ridurre l’intero processo a sei fasi principali.
Innanzitutto le olive vengono raccolte manualmente o sfruttando degli appositi abbacchiatori meccanici. A questo punto i frutti vengono portati il più in fretta possibile in oleificio, per evitarne l’ossidazione e il deperimento.
In seguito viene effettuata la “deramifogliazione” con apposite macchine rotative, in grado di rimuovere velocemente il fogliame in eccesso.
A questo passaggio segue il lavaggio, anch’esso primariamente svolto da macchine lavatrici con flussi d’acqua intensi, atti a separare il prodotto da ogni impurità.
C’è poi la cosiddetta “frangitura”, ovvero la fase di spremitura delle olive e di frantumazione dei noccioli. In questa fase, che può assumere diverse forme, la tecnica più antica, utilizzata già in età ellenica, prevede l’impiego di grossi dischi di granito fissati a dei supporti rotanti, con un principio che è simile a quello della macinazione del grano.
Segue la “gramolazione” (dal nome della vasca utilizzata: la gramola), essenziale per il risultato finale, in cui la pasta di olive viene riscaldata fino a 25-27 gradi e resa omogena da delle pale rotanti, che sostanzialmente vanno ad amalgamare il composto.
La successiva spremitura a presse, che ad oggi sono quasi tutte in acciaio inossidabile, permette di separare il mosto oleoso, sostanza composta per l’80% d’olio extravergine di oliva e per il 20% d’acqua. La centrifugazione del mosto permette dunque di eliminare la parte acquosa in eccesso. Anche in questo caso, ma è un concetto che si può applicare ad ogni stadio produttivo, le tecniche artigianali riducono di molto la “contaminazione” del prodotto. Vero è che realizzare l’olio manualmente o utilizzando i torchi antichi imporrebbe dei tempi di produzione lunghissimi, non adatti alle dinamiche di mercato odierne.
Curiosità
Vi siete mai interrogati sulla funzione dei tappi “dosatori” delle bottiglie d’olio? La loro funzione non è solo quella di incanalare il flusso d’olio e, appunto, di dosarlo. I tappi di quasi tutte le bottiglie d’olio sono progettati per essere “anti-rabbocco”, ovvero non consentono di mescolare oli diversi nella stessa bottiglia. Lo scopo di questo accorgimento è proteggere il sapore autentico dell’olio, oltre che l’originalità del marchio, scoraggiando la rivendita di prodotti scadenti e mantenendo intatta l’originalità degli aromi classici della miscela.